Padre Renato Zilio, Missionario scalabriniano in Marocco, racconta della sua esperienza durante la Pentecoste a Ouarzazate

Alla chiesa di Ouarzazate non eravamo neppure dodici, come i discepoli al Cenacolo. Semplicemente, undici. Ed era, in realtà, il mattino di Pentecoste, in pieno Sud del Marocco. Ciononostate, si era da tutte le parti del mondo. Due caldei cattolici, una coppia di francesi residenti, una famiglia intera dagli Stati Uniti, due da un Paese arabo, un italiano. Tra turisti di passaggio o residenti, generalmente la piccola assemblea domenicale di cristiani, varia e variegata qui lo è sempre. “Non nei numeri, ma nell’unità sta la nostra grande forza” scrive Thomas Paine.
Mi sorprende pensare che proprio io provenivo da più lontano: impiegando ben otto ore di bus per arrivare. Qui in terra d’ Islam, le parrocchie sono disperse nel territorio, lontanissime, come fosse una a Milano, un’altra a Venezia, una terza a Roma… I guardiani della chiesa sono una coppia di musulmani, disponibili e accoglienti. Ti accolgono con un bacio: un prete qui è “uomo di preghiera” e per loro vale oro. Il calore e l’affettuosità di questa gente, poi, sorprendono immancabilmente ogni volta gli europei ! Bernard, settantenne, francese, si attacca, con vigore giovanile alla lunga corda della campana.
“Mi sembra di tornare alla mia infanzia!” esclama, ridendo. Questo suono mi dà già un’aria di casa. Sapendo che come regola le campane qui restano mute, solo le moschee possono lanciare il loro canto. Ma siamo nel profondo Sud, come sempre, le regole si stemperano… Si respira, tuttavia, il senso della Chiesa. Dove nazioni, lingue, tradizioni differenti si ritrovano, si mescolano, vivono un’armonia. Una Chiesa sinodale, in realtà, dove si condivide cammino, fede e destino: incontrarsi umani, anzi fratelli, al cospetto di Dio. Sarà il piccolo Michael, nove anni, ad aprire la celebrazione, tracciando a voce alta in inglese il segno della croce. Pare dire che perfino sulla bocca dei bambini lo Spirito di Dio ha voce. Poi in francese, in arabo, in inglese la celebrazione prosegue calma e spedita fino al canto finale a Notre Dame del Marocco, un’icona dipinta da una carmelitana, dai tratti dolci e in costume locale.
