di Roberto Maestrelli

Sono anni che dal Sud America migliaia di persone lasciano la propria terra, per cercare un futuro migliore negli Stati Uniti. Un lungo cammino pieno di pericoli e con l’incertezza di poter arrivare alla meta. La speranza di uscire dalla miseria e avere una vita migliore è, comunque, sempre più forte, e allora avanti anche a costo della vita.

Noi scalabriniani crediamo che ogni persona abbia il diritto di lottare per avere una vita dignitosa e per questo siamo al loro fianco e per quello che possiamo li aiutiamo. Nel 2018 un missionario scalabriniano, Mauro Verzeletti, ha creato una casa d’accoglienza per quanti diretti negli Stati Uniti passavano di qua, affinché potessero riposare e cercare di organizzare il resto del viaggio, visti i pochi soldi e le poche certezze.

Per un certo tempo, la casa si riempì di migranti che rimanevano per due o tre giorni e poi ripartivano verso il nord; ma il flusso a poco a poco diminuì. La violenza che si era scatenata in tutto il paese scoraggiava il passaggio per El Salvador e i migranti preferivano passare per l’Honduras, per arrivare poi in Guatemala e da qui Messico e finalmente Stati Uniti. Un cammino più lungo, ma più sicuro.

La casa però riprese a riempirsi, ma questa volta di salvadoregni stessi, obbligati a fuggire da una mafia che a poco a poco si era impossessata del paese. Ma cos’era successo? Da tempo si erano formate alcune bande di persone, chiamate Maras o Pandilla, che all’inizio estorcevano pochi soldi ai passanti per le strade di quello che definivano il loro territorio. Poi, a poco a poco, aumentarono di numero fino a toccare, secondo le stime del governo, le 100.000 unità, che per una popolazione di poco più di 6.000.000 di persone, è una cifra di tutto riguardo.

Di pari passo con il numero, crescevano anche le attività. Non si trattava più di rubare pochi spiccioli ai passanti, ma di vere e proprie estorsioni ai danni degli abitanti della zona, soprattutto commercianti. La motivazione era di proteggerli da altri gruppi, ma ben presto si arrivò a minacce, attentati, spaccio di stupefacenti e uccisioni (fino a 15 assassinati al giorno). A tutto questo, se aggiungiamo l’incapacità dello stato nel contrastare il fenomeno, capiamo che alla popolazione non rimaneva che scappare. Scappare sì, ma dove? È difficile sfuggire ai clan che obbligavano i genitori a dare le figlie, per lo più minorenni, in pasto ai vari “pandilleros” o i giovani obbligati a commettere crimini o vendere droga. Così noi, in casa, ne abbiamo ricevuti e nascosti tanti, in attesa di trovare loro una sistemazione sicura nel paese o all’estero.

In tale clima di terrore, il nuovo presidente della repubblica (eletto dopo 5 presidenti tutti incriminati per corruzione) non ha trovato altra alternativa che dichiarare lo stato d’emergenza nazionale, sospendere le garanzie costituzionali e dare ordine a polizia e esercito di arrestare chiunque fosse sospettato di appartenere, o avere legami, con questi gruppi armati. Ne hanno arrestati circa 70.000 e rinchiusi in un carcere speciale, isolati da tutti e senza neanche il diritto ad un avvocato. Una decisione drastica che, di fatto, ha ridotto la criminalitá, ma che ha anche sollevato molti dubbi circa il rispetto dei diritti umani: si stima che dei 70.000 arrestati, almeno 30.000 non abbiano niente a che fare con le bande armate.

 

Tutto questo ha ridotto il numero di salvadoregni in cerca di rifugio in casa nostra. E così sono ricominciati ad aumentare i migranti che, volendo evitare l’Honduras, paese ad alto pericolo, vengono e restano da noi il tempo necessario per fare un po’ di soldi (vendendo caramelle o lavando i vetri ai semafori) da dare a un “coyote”, il trafficante che ti fa passare la frontiera. Ricevono qui vitto e alloggio, cure mediche e assistenza legale oltre a riprendere il coraggio, con l’aiuto di Dio, di rimettersi in cammino verso la loro Terra Promessa.