Presso la sede della Fondazione CSER, il 1° giugno si terrà un evento per celebrare San Giovanni Battista Scalabrini, con una lettura approfondita dei suoi testi e l’intervento di diversi studiosi. Si tratterà di un giorno di festa anche per Thuc, Hoa, Dagner e Jestoni che si consacreranno per sempre nella Congregazione scalabriniana con la professione perpetua dei loro voti religiosi di povertà, castità e obbedienza.

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Da sinistra: Thuc, Jestoni, Hoa, Dagner

Il 1 giugno, presso la Fondazione Centro Studi Emigrazione di Roma, si terrà un evento in memoria di San Giovanni Battista Scalabrini. Esperti e studiosi presenteranno gli scritti del Patrono dei Migranti e analizzeranno l’eredità da lui lasciata. Lo stesso giorno, Thuc, Hoa, Dagner e Jestoni faranno la professione perpetua dei loro voti religiosi, diventando così definitivamente membri della Congregazione Scalabriniana. Sarà dunque un giorno di festa, celebrazione e unione, in cui si potrà avvertire la potenza del messaggio di Santo Scalabrini e il lascito dei suoi insegnamenti.
Per comprendere la forza di Santo Scalabrini e del suo esempio, basterà leggere le parole di quattro giovani che hanno deciso di proseguire il loro cammino verso la Fede, uniti dalla volontà di aiutare e di farsi migranti con i migranti.

Dagner Juarez

«Sono stato colpito dalla visione missionaria degli Scalabriniani vedendo ciò che facevano con i migranti. In Guatemala ci sono tanti migranti e vedere questa sofferenza mi conduceva sempre a una domanda: “E io cosa posso fare?”».

A parlare è Dagner Juarez, seminarista di 32 anni, di origine guatemalteca. Entrato a far parte degli Scalabriniani nel 2013, ha conosciuto la Congregazione grazie a un padre scalabriniano che all’università gli ha spiegato la missione. Dagner si era già impegnato nell’offrire aiuto ai migranti e il suo lavoro era prettamente concentrato sul confine tra Guatemala e Messico dove vi era una casa per migranti. Dopo aver conosciuto gli Scalabriniani, ha compreso quale fosse la sua strada e da dieci anni si è messo al servizio della Congregazione, di cui entrerà a far parte definitivamente il 1 giugno prossimo.

«Ancora ricordo mia madre che non voleva che suo figlio si allontanasse e mi invitava a farmi diocesano per rimanere a casa, ma per me la verità è che non ero connesso a quello stile di vita, mi sentivo vicino alla dimensione della missionarietà. Farsi migrante con i migranti è diverso. Anche noi viviamo la lontananza dalla famiglia e il vivere in una nuova cultura e questa può essere una ricchezza. Basti pensare a San Scalabrini che voleva accompagnare i migranti che partivano».

Hoa Pan

Condivide la sua storia, anche il seminarista Hoa Pan, classe 1990, proveniente dal Vietnam. Entrato nella Congregazione Scalabriniana nel 2009 (dopo averla conosciuta grazie a una palm desk), Hoa spiega le ragioni che lo hanno portato a seguire la missione di San Scalabrini, raccontando un po’ della propria storia:

«Avevo 8 o 9 anni e durante l’estate lavoravo, spostandomi dal Nord al Sud del Vietnam. Vendevo i giornali, ero piccolo e lontano dalla mia famiglia per mesi. Quando sono tornato, sono stati i miei genitori a dover partire per poter lavorare, lasciando me e altri 3 fratelli da soli. Io ero il più grande a casa e dovevo curare i miei fratelli, nonostante avessi solo 11 anni. La mattina c’era la scuola, il pomeriggio andavo nei campi per cercare cibo. Immagino la difficoltà dei miei genitori che lasciavano dei figli a casa per poter garantire loro una vita migliore».

Da qui, la volontà di Hoa di mettersi al servizio dei migranti dopo aver avuto, in prima persona, un’esperienza che gli ha permesso di comprendere la potenza della missione Scalabriniana:

«Quando ho sentito cosa faceva la Congregazione Scalabriniana, ho subito capito che era la mia strada. Farmi migrante con i migranti è ciò che io posso offrire, è la cosa migliore per poter davvero dare una mano».

Thuc Ho

Altro seminarista originario del Vietnam è Thuc Ho, di 34 anni, che il 1 giugno prenderà il nome di Giovanni Battista Thuc. A 21 anni, durante il seminario, ha conosciuto alcuni Scalabriniani e da lì ha capito di voler entrare a far parte della Congregazione.

«Ho conosciuto gli Scalabriniani e quando ho chiesto loro quale fosse la loro missione e ho scoperto che era quella di seguire i migranti, ho capito che era il mio posto. Io avevo studiato e lavorato per anni lontano dalla mia famiglia e ho creduto che questa mia esperienza personale potesse aiutarmi a seguire meglio i migranti. Inizialmente ho seguito per lo più i migranti del Vietnam e, poco dopo, ho iniziato ad interfacciarmi anche con altre nazionalità, comprendendo il carisma di San Scalabrini e lasciando il mio Paese».

Thuc spiega anche il lavoro che a livello quotidiano gli Scalabriniani portano avanti proprio per aiutare i migranti e seguire la loro missione:

«Venendo a Roma, ho scoperto che gli Scalabriniani lavorano sul campo, che hanno un Centro Studi per fornire le informazioni, che nell’università fanno sensibilizzazione. Si tratta di un percorso di scoperta, di un nuovo aspetto della missione Scalabriniana. L’ho scelta e non me ne sono mai pentito».

Jestoni Udal

Ultima, ma non per importanza, la testimonianza del seminarista Jestoni Udal, 30 anni, delle Filippine. Entrato in seminario nel 2010, Jestoni ha conosciuto gli Scalabriniani in rete, soprattutto a causa del fatto che viveva in un villaggio molto piccolo, dove sarebbe stato impossibile imbattersi nella Congregazione. Jestoni racconta di un incontro casuale che poi è divenuto una scelta consapevole e fiera:

«Vivevo in un villaggio molto piccolo delle Filippine e un giorno online stavo cercando delle Congregazioni. Mi sono imbattuto negli Scalabriniani e ho apprezzato la missione che portavano avanti. Avevo già fatto richiesta ad un’altra Congregazione, ma non ero stato preso perché all’interno c’era già mio fratello. Quando poi mi hanno accettato, sono stato io a rifiutare: volevo entrare negli Scalabriniani. Sono andato 5 anni a Manila, 2 anni a Cebu per il noviziato e ora sono a Roma per concludere la mia formazione».

Riguardo la missione, Jestoni afferma:

«Durante il seminario, ho avuto la possibilità di seguire i migranti e questo mi ha portato una gioia immensa che non faceva altro che aumentare durante la formazione. Quando ero nelle Filippine, non ero sempre convinto di andare avanti, ma durante il noviziato ho capito che non è solo la mia volontà, è il Signore che mi ha chiamato e mi ha fatto arrivare qui

Il 1 giugno e la conferma definitiva della propria scelta: il significato della vocazione

Il 1 giugno Dagner, Hoa, Thuc e Jestoni proseguiranno il loro cammino di fede, confermando definitivamente la scelta presa anni fa.

«Sono emozionato e felice per l’arrivo del 1 giugno perché giungerà il giorno in cui potrò rispondere alla mia chiamata e sarà la mia scelta definitiva», spiega Jestoni.

«Si tratta di un’opzione di fede. Il 1 giugno prenderemo in perpetuo dei voti che ci legano ai principi evangelici: sarà una risposta a un qualcuno che chiama. Non sto dicendo che la vocazione sia facile, tutt’altro. Con la risposta che daremo, ci troviamo di fronte al mistero. La società di oggi ti dice di sposarti, fare una famiglia e dei progetti futuri a livello lavorativo. La dimensione religiosa, del mistero, spesso non viene analizzata. E forse è perché non si può spiegare. Il 1 giugno sarà una conferma di una dimensione religiosa e comunitaria che abbiamo scelto già anni fa e che sarà accompagnata dalla sfida di quel mistero sul futuro che rende questa scelta ancora più bella»: questo è per Dagner il 1 giugno.

Thuc spiega quanto per lui sia fondamentale aver vissuto un il campo di solidarietà con i migranti e con i ragazzi volontari e quanto la chiamata che si riceve sia forte: «Tutti mi dicevano cosa stavo facendo con la mia vita e io cercavo di spiegare la chiamata e quello provavo, ma a un certo punto non puoi più. La chiamata è l’amore, questa esperienza di essere amati dal Signore che ci spinge a dare questo stesso amore a coloro che dobbiamo aiutare. Abbiamo lasciato tutto e dal 1 giugno la Congregazione sarà la nostra famiglia, tanto che ci chiamiamo confratelli per tale ragione».

«San Scalabrini è stato per noi un esempio, ci ha aiutato a seguire il suo lavoro. Ora è nostro compito continuarlo»: così chiosa Hoa, spiegando l’emozione che porterà il 1 giugno quando verranno professati in perpetuo i voti religiosi di povertà, castità e obbedienza.

Si tratterà, dunque, di una tappa raggiunta nel cammino verso il Signore, di una scelta d’amore, di una volontà di mettersi al servizio dei migranti e di chiunque si dimostrerà bisognoso, sorretti dalla famiglia Scalabriniana e dagli insegnamenti del Santo Patrono dei migranti, San Giovanni Battista Scalabrini.